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S E X U S | Autoreferenza | Gli incontrati

S E X U S

3 di 3 | Autoreferenza | Gli incontrati

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Come muoiono lentamente le Alpi, ad est dove il sole nasce. (Kamniško-Savinjske Alpe, Slovenia)

 Le tre del mattino. Dov’è Bressanone? Questa piazza silenziosa e deserta su cui soffia una tenue brezza notturna – e che fra poche ora ruoterà, come da millenni, la sua direzione quando i primi raggi del sole colpiranno i costoni delle montagne lassù in alto – è ancora la splendida piazza del museo Diocesano, colma di luce e chiasso già dal mattino? O è forse un’altra, al rintocco cavernoso dei miei passi solitari, rilassati e stanchi? E queste migliaia di blocchetti di riolite posate a terra a raggiera, su cui pare di ascoltare il rumore dello scalpiccio delle persone, scomposte o ordinate, che in genere accolgono, sono davvero sempre le stesse? Avanzo e vedo spicchi di cielo nero tra i palazzi austeri, anch’essi sonnolenti. Le rughe dell’intonaco sono amplificate e rese drammatiche dalla luce di sbieco dei lampioni orientati verso il basso. Li sovrastano i fregi, perfettamente stuccati, ordinati, in ascolto. Lentamente percorro la via lungo il fiume che attraversa la città, fino ad arrivare alla confluenza tra Isarco e Rienza, posta in pieno centro; come viene scelto il nome da qui in poi se le portate dei due fiumi sono all’apparenza identiche? Perché Isarco? Il grande Danubio, Donau, potrebbe essere, in un altro universo, il fiume Brigach, nel suo lungo percorso tra le pianure fino al mar Nero? I nostri destini ne sarebbero influenzati?

I bow window di via Portici Maggiori hanno pesanti tende che però consentono ugualmente alla luce di entrare ed uscire dalle stanze. Ma quel che escono sono anche i pensieri delle centinaia di persone che lì dentro stanno dormendo; pensieri in tedesco o in italiano, lievi o tormentati, di ricordi o di speranze. Nella solitudine del sonno, ciascuno chiama qualcun altro, lo sogna, ripensa ai piccoli fatti della giornata, medita, rielabora, chiede ed ascolta. E i pensieri escono dai muri, dalle crepe, fluiscono con lentezza dai coppi antichi, si addensano sopra la città, e lì finalmente si incontrano, come una lanugine incerta e opalescente a mezza altezza, che a tratti sembra di vederla ma che poi no, non può essere. O forse sì? A ben ascoltare, si potrebbe udire un sommesso mormorio di richiami urgenti e segreti. Bressanone è brulicante anche di notte, soltanto poche decine di metri più su del normale, Bressanone è un continuo fluire, è un cielo pieno di trasmigrazioni di qua e di là della stretta valle, è il souk di Marrakech. E così sono tutte le città del mondo, dappertutto oltre i neri orli delle montagne che ora mi circondano nella notte.

Proprio qui, sulla piazzetta che volge in discesa dalle rive, poche ore fa ho incontrato un uomo che mi ha detto di chiamarsi Hervé e di essere, anche, un alpinista. Su quel muretto io mi sono appoggiato, oppure dovrei dire che mi appoggiai, tanto lontano e impossibile sembra quel momento, ora, con un gomito ad ascoltarlo, in splendido ozio e curiosità. E, siamo intesi, ho fatto finta intenzionalmente di non riconoscerlo, un po’ per gestire la mia vanità, un po’ per donargli quel lusso raro che hanno le persone famose nel non essere riconosciute, e poter così sperimentare la normalità. In realtà sapevo benissimo che è un forte alpinista, nel pieno degli anni, capace e influente poiché dotato di carisma e abilità nei rapporti umani.

Abbiamo iniziato a parlare di chiodi e di salite, e perfino io che sono un montanaro della domenica, incredibile, gli stavo dietro, almeno nel discorso. Lui mi ha chiesto più volte «Cosa ne pensi tu?» riguardo alla tal cosa e a quell’altra, e nel mentre si sporgeva verso di me in ascolto, in un gesto di reale interesse, una virtù rara. E avanti, per un’ora, o forse dieci, a fare riflessioni, prendere posizione, polemizzare, discutere di immaginario, di introspezioni, di gradi e di etica. Il nostro vociare ha radunato molte altre persone, e la conversazione a quel punto si è impennata, era vitale, era nostra. Di più: tutto quello era niente di meno che esatto, necessario, centrale, puro, progredente. Lassù, il grande orologio del campanile avanzava lentamente con piccoli crepitii che nessuno ha mai udito dalla piazza.

Più tardi, il sole ormai cominciava a calare, la luce era riflessa selettivamente nel suo spettro e tutto diventava rosso, ho incontrato uno di quei ciabattini di una volta, in una di quelle botteghe di una volta. Ecco che ci ripasso ora, ma era proprio questo vicolo nero? Un orizzonte di muri sbarra la fioca luce del lampione in fondo, e non sono più così sicuro. L’accesso se ne stava – incredibile – a livello della strada, una feritoia talmente in basso che ho dovuto chinarmi, e dell’omino spuntava fuori solo la testa. Ma ancora non bastava, e a quel punto ho deciso di coricarmi bocconi sul selciato, sporcandomi i pantaloni. E che non pensiate, a questo punto, che questa sia la solita sciocca metafora, che so, dell’uomo umile della strada, della voce di modestia alla quale non diamo mai ascolto, del baluardo contro la nostra autoreferenza. No no, l’omino e la bottega esistono eccome: camminate a Bressanone in una sera qualunque, ma meglio se di vento, e li troverete.

E anche il ciabattino aveva sentito parlare di chiodi e di salite, di coraggio e di illusioni. Ne aveva sentito parlare per aver interpretato, per così dire, le famose trasmigrazioni notturne sopra la città, la nube opalescente, dove dimorano, si capisce, anche i sogni notturni degli alpinisti. Ma, mi diceva, a un certo punto l’incedere dei pensieri a lui risultava sconnesso, che nel suo linguaggio i chiodi eran quelli per appendere i quadri o ribattere le suole, e le salite quelle per arrivare fino al maso del fratello, sopra il paese. È per questo, insisteva bonario e strizzando l'occhio, che la faccenda era senz’altro interessante, ma dopo un po’ tutta quell’interpretazione gli era venuta a noia, e con la noia era arrivata la stanchezza e infine il disinteresse per tutto.

Le tre del mattino, forse ormai le quattro. Dove va stabilito il confine tra due mondi apparentemente non comunicanti, tra giorno e notte? È forse quel fremito impercettibile dell’ontano sul greto alla prima avvisaglia di luce, è un profumo sceso dai fianchi della valle e che arriva di colpo alla piazza, è il primo volo della giornata del merlo acquaiolo? Oppure, ancora, il confine non c’è e i due mondi sono l’uno il compimento dell’altro, in un divenire circolare che si perpetua? Fra poco sarà l’alba, e io non potrò mai trattenere questo momento. Fluirà come tutti i momenti. Una promessa di luce, inizialmente ridicola e pretestuosa, pian piano riempirà il cielo, inesorabile. Poi tutto tornerà come prima, assurdamente reale. Fino a pochi istanti fa sembrava impossibile, e invece.

 

Indice puntate

NEXUS | 1 di 3 | Dipendenza | Guido Giardini, medico neurologo

PLEXUS | 2 di 3 | Paura | Dave MacLeod, alpinista poliedrico

SEXUS | 3 di 3 | Autoreferenza | Gli incontrati

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Crediti

-        Se quanto scritto a qualcuno ricorda qualcosa è perché lo spunto e la traccia della narrazione provengono dal racconto Le tre del mattino di José Saramago contenuto in Di questo mondo e degli altri. Non è assolutamente copiato nelle parole o nelle frasi, ma la costruzione generale e lo sviluppo vorrebbero ad esso ispirarsi, per cui i due scritti potrebbero, chissà, risultare un po’ somiglianti.

-        L’idea di prendere qualcosa di già scritto e usarlo, dilatarlo, rielaborarlo l’ho vista espressa per la prima volta, e sperimentata, in alcuni scritti di Mario Crespan, su Intraisass. Trovo molto affascinante l’idea che non si debba essere originali per forza, ma talvolta si possa semplicemente rimaneggiare, rileggere o custodire quanto di buono è stato fatto da altri. Da qui, forse, possono aprirsi comunque nuove porte.

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Federico Balzan