E se la TAV fosse un altro Vajont?
| 5.000 anni |
Celebrazioni per i cinquant'anni. In attesa dell'evento della memoria nel pomeriggio, scendo alla base della diga, lato interno. E, giunto nel mezzo, poso la mano su quella muraglia fredda di cemento che mi sovrasta per decine di metri. Il gesto sembrerebbe evocativo, ma non riesco a pensare a niente.
Risalgo e, sul piazzale, ascolto il concerto di pianoforte, così come in questi anni ho ascoltato messe, spettacoli, film, discorsi, memorie, libri, preghiere, incazzature.
Poi tutto finisce e solo più tardi, mentre percorro a piedi il sentiero fino a Casso per poi ridiscendere verso Longarone, tra i faggi, intuisco che la memoria di questo giorno di cinquant'anni fa non deve essere solo questo. Deve essere critica, indagine, lotta verso tutto quello che potrebbe essere un nuovo Vajont, quando si è in odore di rapina dei beni comuni, di gigantismo, di soprusi, di violenze, di finalità faziose, di insensatezze, di mafie, di pericoli per la salute e per l'ambiente in nome di interessi fintamente collettivi.
Ora giustamente ricordiamo questi morti, ma cosa sappiamo fare davvero nel loro nome oggi? Siamo davvero sicuri che non ci sia più nessun Vajont? Che non lo sia la TAV, che non lo siano i modelli di consumo che ci vengono imposti, l'Ilva, le infrastrutture che brutalizzano i nostri paesaggi, il paventato ritorno al nucleare, il consumo di suolo scellerato, la retorica della crescita?
La dinamica degli eventi del Vajont oggi ci indigna. Gli avvertimenti inascoltati, i ricatti, i soprusi, il rischio sulla pelle degli altri per il profitto. Sembra un mondo lontano, irripetibile, barbaro.
Ma finiti i discorsi, gli elenchi, le preghiere, i Ministri in visita, la miglior forma di memoria non è forse saper riconoscere e denunciare dov'è il Vajont oggi?
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Federico Balzan