Il fallimento dei fotografi di montagna, di natura, di paesaggio
| la masticazione del paesaggio |
Sul tema della fotografia di montagna, di natura o di paesaggio, oggi, XXI secolo, quanto più uno scatto è "bello" nel senso classico del termine (per nitidezza, composizione, stacco del soggetto dallo sfondo, assenza di elementi di disturbo, ricercatezza del soggetto), tanto più il fotografo avrà fallito il suo compito.
In questi decadi di degrado ambientale, masticazione del paesaggio e distruzione degli habitat non abbiamo bisogno di realtà edulcorate. La maggior parte del nostro mondo, almeno qui in Veneto, è composto da ineradicabile bruttezza, solo che fingiamo di non vederla per superare l'ansia collettiva che ci attanaglia nel subire l'erosione dei beni comuni, giorno dopo giorno. E decidiamo di non rappresentare mai questo fenomeno. E decidiamo di attraversare velocemente la bruttezza in automobile per raggiungere i pochi spazi deantropizzati che ci restano. E lì fotografare "il bello", preoccupandoci di eliminare gli elementi di disturbo. Come in un sogno, o in una realtà rappresentata.
Il fotografo di montagna, di natura o di paesaggio, scatto dopo scatto, seguita nelle sue menzogne: fugge in quota e rappresenta un tramonto di enrosadira, coglie le simmetrie di due gruccioni posati, sfoca a meraviglia una libellula in accoppiamento. E quasi mai si interroga, quasi mai rappresenta, quasi mai grida contro l'orrore in atto. Che quella montagna è intasata di piloni, che dove nidificano i gruccioni tutto viene deturpato dalle motocross abusive lungo i greti dei fiumi, che quelle libellule si trovano ai bordi di un fosso eutrofizzato, nella morsa di aree industriali per metà abbandonate e colme di rifiuti negli scoli.
Egli dovrebbe raccontare la natura con le sue ataviche bellezze e con i suoi moderni drammi, invece ogni giorno dobbiamo accettare una passerella ipocrita di immagini simili a false promozioni turistiche, immagini che sono un inganno.
Rappresentiamo anche il resto. Proviamo ad immaginare cosa c'è dietro le ombre proiettate sul muro della caverna.
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Federico Balzan