Plexus | La paura. Dave MacLeod, alpinista poliedrico
P L E X U S
2 di 3 | Paura | Dave MacLeod, alpinista poliedrico
ATTESA – WHEN | WHO | WHERE | FEAR
Aspetto Dave MacLeod seduto sul divanetto della sala interviste all’IMS di Bressanone - Brixen. Mi preoccupo moderatamente per non aver ancora stabilito con certezza come si pronunci il suo cognome. Meclàud, Meclìod, Meclèod? Gli interpellati all’IMS danno pareri discordanti e nessun video su youtube mi aiuta: tutti gli intervistatori lo chiamano semplicemente Dave o non lo chiamano affatto, e così farò anch’io. Do un’occhiata alla sua galleria di immagini e penso che il suo volto lungo e allampanato mi ricorda i moai dell’isola di Pasqua; non mi arrischierò però ad alcun tipo di battuta o di allusione, che non conoscendo il personaggio e il suo spirito autoironico mi frena il pensiero del suo bicipite da E11 a pareggiare un eventuale mio sgarbo.
Attendo e ancora non so quando e se arriverà, fuori un meraviglioso sole d’ottobre invade la valle.
Una fotografia di Dave che mi ha fatto desistere dall’idea di affrontare l’intervista con toni canzonatori o ironici. Da www.davemacleod.blogspot.com, rielaborata.
CHI È COSTUI
Dave MacLeod è un alpinista scozzese nato il 17 luglio 1978. Essendo io quasi suo coetaneo, è dunque un giovanissimo nel pieno dell’adolescenza. È diventato famoso, al mondo e a me che ricordo la relativa notizia nella rivista Alp di allora, quando salì, ancora capellone, la via Rhapsody in stile trad. Era l’aprile 2006 e venne annunciata come la prima via con un grado di E11; pare che all’epoca fosse la più difficile via di arrampicata tradizionale al mondo e che fosse la prima a superare la mitica barriera, anche psicologica, del grado E10.
Per chi volesse approfondire la British Trad Grade, ossia la scala con E-qualcosa, rimando a questo contenuto. È meravigliosa la distinzione tra well-protected routes e bold routes. In pratica il tutto dipende dai centimetri di pelo sullo stomaco che si hanno.
Dave è noto per essere uno dei migliori all-round climber al mondo, il che significa, in soldoni, che è forte in tutte le discipline. E ora sotto con le domande.
Uno splendido Dave con alcuni strumenti di lavoro trad. Ci sono al mondo certi friend di cui ignoravo l’esistenza di quelli inferiori di quattro misure. Dal sito commerciale www.mountain-equipment.co.uk, rielaborata
SI COMINCIA
Ciao Dave, sono Federico, abito nelle Dolomiti, fra dieci minuti andiamo a berci una birra. In questa intervista vorrei parlare non solo di gradi e prestazioni atletiche, ma anche della tua visione (come uomo ed alpinista) del mondo della montagna e del mondo in generale. Ho quattro domande per te.
Cominciamo con un gioco. Io ti sottoporrò alcune citazioni pronunciate da uomini di montagna, delle quali vorrei che tu provassi a indovinare l’anno, l’autore, il Paese di provenienza. Quando, chi, dove? In qualche modo vorrei capire se ci sono epoche, uomini e regioni che hanno maggiormente contribuito all'idea che abbiamo del mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata oggi. Il gioco si chiama “L’ha detto lui”. Sei pronto?
Mmmmh.
Questo è lo spirito giusto! Iniziamo!
L’HA DETTO LUI
1 | Tra i massimi principi vi è quello della sicurezza. Non però la sicurezza che risolve forzosamente con mezzi artificiali le incertezze di stile, bensì la sicurezza fondamentale che ciascun alpinista deve conquistarsi con una corretta valutazione delle proprie capacità.
2 | Se volevo applausi facevo un altro sport.
3 | Senza dubbio le cifre romane che definiscono i gradi di difficoltà sono una prestazione sportiva, tuttavia essi non dovrebbero in nessun caso diventare la misura di tutte le cose nell'arrampicata. Molto più importante e significativo è lo stile con cui un grado di difficoltà viene superato.
4 | Se c’era bisogno di artificiale la facevo… ero bravo in libera, ma anche in artificiale non ero poi così male. Ogni tanto ho piantato qualche chiodo dove non era forse così necessario. Nella salita vedo un po’ il senso generale, e complessivamente considero importante tornare a casa e bere un bicchiere di vino con gli amici; il mio era alpinismo “calmo”, anche se ho superato grandi difficoltà, anche se non sono mai sceso da una via. Del resto, al ristorante prendo sempre il menù completo!
5 | Non portavo con me materiale da bivacco, perché altrimenti l’avrei usato sicuramente.
6 | Lìghete mejo e fa’ da novo chel gròp, che se te porte a casa co i piè par davanti tò mare, che sarìe me sorèla, la me copa. [Assicurati meglio e rifai quel nodo, che se non ti riporto a casa vivo tua mamma, che sarebbe mia sorella, mi ammazza.]
SECONDO DAVE…
Per motivi tecnici, le risposte di Dave saranno rivelate in un futuro remoto, a mo’ di quarto segreto di Fatima. Il lettore, se lo vorrà, potrà cimentarsi nel gioco senza sbirciare le risposte poco sotto. Forza!
1 | …
2 | …
3 | …
4 | …
5 | …
6 | …
…E INVECE
1 | 1905, Paul Preuß, Austria 2 | 1978, Ernesto Lomasti, Italia 3 | 1989, Wolfgang Güllich, Germania 4 | 2003, parlando degli anni ’60, George Livanos, Francia 5 | 1960, Tom Patey, Scozia 6 | 1997, mio zio, Italia
Where were you when I was helpless?
1 | PRIMA DOMANDA
Ok, Dave. Sulla base dell’incoraggiante risultato ottenuto, pensi che si possano identificare, nella storia dell’alpinismo, epoche o luoghi che sono stati salienti per lo sviluppo del concetto che abbiamo ora dell’andare in montagna e del mondo dell’arrampicata? Oppure i dibattiti e i progressi sono dovuti ad alcuni uomini-faro, carismatici nelle loro visioni e nei lori indirizzi rivolti alla comunità alpinistica? E cosa ne pensi della massa di alpinisti della domenica, dei dilettanti? (Per questo c’era l’esempio di mio zio, un semplice appassionato concentrato sull’aspetto della sicurezza per il nipote!) Pensi che anche la massa determini e influenzi il modo che abbiamo di intendere l’andare per monti, indipendentemente dai big?
Penso che i movimenti e le correnti di pensiero in arrampicata provengano sia dalla massa di dilettanti, sia dal singolo o da una ristretta cerchia di individui. Ci sono scalatori singoli che combinano la capacità tecnica e mentale di aprire vie iconiche con quella di comunicare e scrivere molto bene: costoro risultano ovviamente e logicamente molto influenti. Questo accade anche in altre discipline dello sport, dell'arte, della scienza ecc. Tuttavia, penso che sia importante che tutti gli scalatori, dilettanti e professionisti, pensino e si interroghino circa la loro influenza sui loro compagni di scalata e, in generale, sull’ambiente della montagna. L’obiettivo è evidentemente quello di portare avanti un influsso positivo, propositivo, rispettoso. Ciascuno di noi può contribuire!
2 | SECONDA DOMANDA
Sullo stile di salita. In Scozia il trad climbing è ampiamente praticato, rispettato, divulgato. Pensi che il numero tutto sommato limitato di pareti presenti nel tuo Paese possa in qualche modo aver contribuito a far nascere e sviluppare questa forma di rispetto? Diversamente, sulle Alpi, l’enormità di pareti a disposizione può aver contribuito a rendere meno diffuso l’approccio trad e clean perché il terreno di gioco è molto maggiore? A livello generale, è possibile che l’umanità (!) sia condannata a sprecare le risorse quando ne ha a disposizione, e invece tenda ad una maggiore oculatezza nella scarsità e nella privazione?
Sei mai stato ad arrampicare in Scozia? Abbiamo una varietà di tipi di arrampicata e abbondanza di salite e pareti maggiore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi.
[Ecco, è stato un azzardo. Sì, Dave, in Scozia ho anche avuto la fortuna di andarci, ma a fare uno di quei vostri meravigliosi trekking in dieci giorni con lo zaino stracarico, attraversando brughiere accompagnato dal canto del chiurlo, e sul Ben Nevis ci sono salito soltanto dal versante addomesticato, risentendo peraltro i postumi dei festeggiamenti a Fort William della sera precedente. Già: in effetti, le pareti ci sono anche lì. È che io in Scozia appoggiavo gli scarponi sull’erba].
Forse questi siti non sono così facilmente accessibili come le falesie della Spagna o della Francia, dal momento che stiamo parlando per lo più di scogliere sul mare e pareti di montagna, piuttosto che vie accessibili lungo i fianchi delle valli… ma ci sono! Non credo pertanto che la nostra etica trad sia legata all'abbondanza o alla scarsità della roccia. Può essere piuttosto legata alla nostra varietà di roccia. Il tipo di roccia sulle Alpi limita lo stile trad dal momento che molti siti sono di calcare e di qualità relativamente scarsa, dal punto di vista dell’arrampicata. In Scozia, invece, la roccia è adatta ad essere protetta con attrezzi trad, soprattutto per la presenza di fessure. Inoltre, l’arrampicata in Scozia è sempre stata un'attività marginale, riservata a pochi, e così è stato più facile far sì che si diffondesse un’etica con meno compromessi, che noi definiamo bold. Intendo dire che c’è meno spinta, richiesta, dibattito per rendere l’arrampicata uno sport accessibile a tutti i costi, comodo, con le protezioni fisse a prova di bomba.
3 | TERZA DOMANDA
Ed ora con Dave parliamo della sua nuova via, o meglio dell’importante variante, alla parete Nord della Cima Ovest delle Tre Cime di Lavaredo. Certo, quella coi tetti. Dave ha salito in libera i primi 100 metri della via Bauer poi, anziché piegare a sinistra, è salito dritto su terreno nuovo – questi i 130m di variante, chiamata Project fear - raggiungendo il famoso gigantesco tetto. Quindi si è congiunto al tiro chiave della via Pan Aroma,per poi raggiungere la cima lungo la via Cassin. Il nome che hai dato a questa variante, Project fear, si riferisce al nome in chiave parodistica dato alla campagna dei sostenitori del no nei mesi precedenti al referendum sull'indipendenza della Scozia (il vero nome della campagna dei sostenitori del no è stato Better Together).
Dave, da quest’estate c’è una nuova via scozzese alle Tre Cime di Lavaredo. Innanzitutto, congratulazioni! Come certamente saprai, le Tre Cime sono una montagna iconica, una montagna di confine. Anche qui, dall’una e dall’altra parte, vi sono talvolta movimenti di indipendenza, di ribellione, di affrancamento. Al di là delle considerazioni politiche più profonde, impossibili da sviluppare qui, in che modo pensi che la paura influenzi, condizioni e caratterizzi le scelte delle persone? Intendo, nella vita e nell’alpinismo. Alle volte ho come l’impressione che quando desideriamo una cosa nel momento in cui stiamo per raggiungerla ci tiriamo indietro.
Sì, conosco il tema delle spinte di indipendenza nella parte di lingua tedesca d'Italia, e viceversa. In merito a ciò, penso che sia incontrovertibile dire che le persone tendono ad essere più inclini alla paura che alla ricerca di nuove possibilità e che trovino più facile vedere i problemi piuttosto che i potenziali benefici delle nuove idee. Questo riguarda sia una salita in montagna sia, appunto, l’affrontare tutte le conseguenze, anche complesse, di un’iniziale volontà di indipendenza. A volte questo approccio di paura ci porta a preferire il male che conosciamo, piuttosto che il male che non conosciamo, come dice anche un nostro proverbio (letteralmente Sometimes it can lead us to favour the devil we know rather than the devil we don’t N.d.A.).
Il mondo di arrampicata è uno spaccato di una concentrazione di persone, comunque una minoranza, che tendono a seguire le opportunità ed hanno meno probabilità di permettere ai rischi di dominare la loro vita e le loro decisioni, poiché li sperimentano in parete e si abituano a gestirli. Non è snobismo o elitarismo, siamo così! Invece sulle masse il discorso è diverso: il nostro referendum in Scozia è stato, tra l’altro, un interessante esperimento su molti aspetti del comportamento umano. Per me è stato molto sorprendente vedere l’effetto che hanno avuto i mezzi di comunicazione nel descrivere i possibili effetti negativi di una scelta di indipendenza, andando di fatto a spostare l’esito. E la leva è stata proprio la paura.
[Per conoscere meglio il pensiero di Dave sul tema, rimando al post dedicato sul suo blog. Di seguito un anticipo di una sua amara riflessione, in cui si cita quella paura che è stata un po’ il filo conduttore di questa intervista].
“What country voluntarily votes to hand over its own independence? Mine did. Yesterday I felt completely empty and devastated by what happened in Scotland. It was a moment when you suddenly realize how easily the chance for something really special can be obscured by the fear of losing what we already have.
[…] So my lesson from this is that life is too short and shit not to be utterly fearless in grabbing the good opportunities that do come your way.”
Dave affronta il tiro di 8c di Pan Aroma; la sua variante Project fear è ormai alle spalle, tracciata nella piovosa e riluttante estate dolomitica. Cima Ovest di Lavaredo. Foto: Matt Pycroft/Coldhouse Collective. Da www.davemacleod.blogspot.com
4 | QUARTA DOMANDA
Infine, ci racconti i tuoi progetti per il futuro? Dove porterai e spingerai il tuo stile di arrampicata?
Mi piacciono tutte le discipline di arrampicata, quindi sono continuamente attratto da ciascuna di esse, talvolta quasi combattuto. Quest'anno ad esempio ho trascorso più tempo sulle pareti nord, prima in Patagonia e poi, appunto, sulla Cima Ovest da voi. Però ora, ad esempio, mi mancano il bouldering e l’arrampicata di difficoltà. Quindi probabilmente durante il prossimo inverno e la prossima primavera cercherò di allenarmi nuovamente sulle piccole prese.
[Con sgomento penso a quelle che evidentemente per lui sono le “medie e grandi prese” di Project fear].
Molte grazie Dave, ti aspettiamo presto nuovamente sulle Dolomiti!
Grazie a voi, arrivederci!
[Poiché la trasparenza mi sembra doverosa, quel giorno non ci siamo incontrati di persona per una serie di sfortune rocambolesche; l’intervista è stata condotta successivamente grazie ai prodigi del web]
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Indice puntate
NEXUS | 1 di 3 | Dipendenza | Guido Giardini, medico neurologo
PLEXUS | 2 di 3 | Paura | Dave MacLeod, alpinista poliedrico
SEXUS | 3 di 3 | Autoreferenza | Gli incontrati
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Crediti
- La citazione di Paul Preuß è una delle sue Sei regole per lo scalatore.
- La citazione di Ernesto Lomasti è ripresa da un articolo di Luca Beltrame.
- La citazione di Wolfgang Güllich è tratta da L'arrampicata sportiva, Güllich e Kubin.
- La frase di George Livanos, rielaborata, è ripresa da un’intervista di Vinicio Stefanello su Alp Grandi Montagne n° 23.
- La frase di Tom Patey, rielaborata, è ripresa dal suo libro One Man's Mountains.
- I primi piani degli alpinisti famosi, poi rielaborati, sono rubacchiati da vari siti web.
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Federico Balzan